giovedì 30 ottobre 2014

Guardo questo foglio bianco e faccio un po’ come quando si ha qualcosa sullo stomaco e non c’è altra soluzione che mettersi due dita in gola per liberarsi: mi sforzo.
Che brutta immagine.
Solo che non funziona così anche per l’animaccia mia.
Anche se ho pensato che non sarebbe male. 
Due dita infilate nel cuore, nel centro dei pensieri, dietro il punto dolente dell’anima e tutto esce.
Voilà.
Libera
Leggera
Cantare correre fare cose con gioia ridere di gusto pensare che la vita è bella

lunedì 27 ottobre 2014

*

Custodisco questa mail come un tesoro.
La tengo lì come primo messaggio, così che ogni volta che apro la posta si ri-manifesti e mi dica ancora “si può partire, le mando il piano terapeutico al più presto” .
La sensazione è un misto tra paura, ansia, gioia, irrequietezza, emozione, panico. 
In parti uguali.
Ma come ha scritto oggi Patalice  “dobbiamo continuare a stare in bilico, ricercando un equilibrio, che non si ottiene stando immobili ma solo essendo in movimento”
Oggi che è il primo vero giorno d’autunno, freddo, umido, grigio, io cerco un segno di primavera.
Ho bisogno di rinascere e ritrovarmi fiorita per evitare che questo lungo letargo che dura da 10 mesi non mi permetta più di uscire dalla tana.
Se non mi muovo, seccherò come queste foglie che ricoprono i viali.

E soprattutto diventerò una donna ripiena di Nutella se non mi togliete questo barattolo e il cucchiaino.

martedì 14 ottobre 2014

Scazzi

Non so come bloccare questo mostro che mi mangia.
Mi rosicchia anche le ossa.
Non posso evitare di pensare che un anno fa a quest’ora ero a Firenze, confusa e felice, non riuscivo a smettere di sorridere, con la mano sulla pancia, mi riportavo a casa i miei piccini.
Che poi sarebbe rimasto uno soltanto.
Che poi se ne sarebbe andato, lasciandomi sola e colma di un dolore che non vuole passare.
Spesso penso di non avere voglia di andare oltre.
Non c’è volontà di nulla, in me. E’ come lasciarsi andare piano piano all’oblio. Non mi ricordo più di me. Prima.
Ma mi vedo, mi guardo dal vetro e resto immobile. Alzo le spalle e mi giro dall’altra parte.
Ho perso interesse per il mondo in generale.
Ciò che mi muove è una forza remota, una reazione spontanea come il movimento dei polmoni.
Così mi alzo al mattino, esco, lavoro, faccio la spesa, interagisco incredibilmente con chi mi sta intorno, magari sembro pure “normale”.
Il problema è che non so dove sto andando.
Forse non lo sa nessuno.
Ma io vago. Passeggio in una sala d’attesa che pare infinita. Non leggo una rivista, non parlo con gli altri che aspettano, passeggio. Ma nessuno mi chiamerà, passeggio in un posto chenoncè.
Come me.
Elenanoncè.
Eppure c’è e io non lo sopporto più ‘sto fantoccio di me.
Come ci si libera di noi stessi?