Non so come bloccare questo mostro che mi mangia.
Mi rosicchia anche le ossa.
Non posso evitare di pensare che un anno fa a quest’ora ero
a Firenze, confusa e felice, non riuscivo a smettere di sorridere, con la mano
sulla pancia, mi riportavo a casa i miei piccini.
Che poi sarebbe rimasto uno soltanto.
Che poi se ne sarebbe andato, lasciandomi sola e colma di un
dolore che non vuole passare.
Spesso penso di non avere voglia di andare oltre.
Non c’è volontà di nulla, in me. E’ come lasciarsi andare
piano piano all’oblio. Non mi ricordo più di me. Prima.
Ma mi vedo, mi guardo dal vetro e resto immobile. Alzo le
spalle e mi giro dall’altra parte.
Ho perso interesse per il mondo in generale.
Ciò che mi muove è una forza remota, una reazione spontanea
come il movimento dei polmoni.
Così mi alzo al mattino, esco, lavoro, faccio la spesa, interagisco incredibilmente con chi mi sta
intorno, magari sembro pure “normale”.
Il problema è che non so dove sto andando.
Forse non lo sa nessuno.
Ma io vago. Passeggio in una sala d’attesa che pare infinita.
Non leggo una rivista, non parlo con gli altri che aspettano, passeggio. Ma
nessuno mi chiamerà, passeggio in un posto chenoncè.
Come me.
Elenanoncè.
Eppure c’è e io non lo sopporto più ‘sto fantoccio di me.
Come ci si libera di noi stessi?